Olivicoltura, parola chiave per uscire dalla crisi: modernità

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Convegno di Confagricoltura sul settore: coniugare tradizione e innovazione non è solo possibile, ma necessario per sopravvivere. Spazio dunque a varietà non autoctone e coltivazione intensiva e superintensiva

convegno-confagricoltura-olio-olivicoltura-roma-giu15-fonte-alessandro-vespa-agronotizie“Il rilancio dell’olivicoltura passa attraverso l’innovazione”.

A dirlo il presidente di Confagricoltura, Mario Guidi, nel corso di un incontro sul tema dal titolo ‘L’olio italiano e le sue qualità. Innovare per competere: un settore a confronto con la modernizzazione’.

Dopo un anno orribile dominato dai flagelli della Xylella fastidiosa e della mosca, torna sugli scudi il tema del rilancio di una olivicoltura italiana che, al di là dei problemi contingenti, in una prospettiva di competitività sui mercati soffre soprattutto di un deficit strutturale che ci porta a non riuscire neanche a soddisfare il fabbisogno interno.

“La struttura orografica del nostro territorio, la parcellizzazione delle nostre aziende e la difesa della nostra tradizione produttiva vanno certamente tenute in conto nella valutazione delle variabili che hanno condotto a questa situazione – ha dichiarato Guidi – ma occorre interrogarsi anche se non si siano sufficientemente valutate le opportunità che potevano derivare dall’innovazione e dalla modernizzazione per sostenere il settore”.

Notevole il parterre degli esperti riuniti in occasione del convegno: Pierluigi Silvestri, presidente della Società Cooperativa Agricola Confoliva; Michele Pisante, membro del Crea; Salvatore Camposeo, docente di Scienze agro-ambientali dell’Università degli Studi di Bari; Aleandro Ottanelli, docente di Scienze delle produzioni agroalimentari e dell’ambiente dell’Università di Firenze e Sara Farnetti, specialista in medicina interna, nutrizione funzionale e metabolismo.

Innovare in olivicoltura sembra essere quasi impossibile in virtù di una serie di ostacoli di varia natura, che vanno dalla tutela dell’albero di olivo non come fattore produttivo ma come elemento paesaggistico, storico e monumentale, all’erronea idea che cultivar diverse da quelle tradizionali – inadatte a una coltivazione intensiva e superintensiva – comporterebbe un inevitabile crollo della qualità del prodotto, con forti dubbi sulla reale essenza di made in Italy dell’olio.

Ma è possibile coniugare tradizione e innovazione? Qualità e quantità? Secondo i relatori è non solo possibile, ma necessario.

“Siamo certi che nel superintensivo ci siano delle opportunità – ha detto Donato Rossi, presidente della Federazione nazionale olivicola di Confagricoltura – ma occorre trovare la modalità produttiva più idonea al nostro modello. I processi innovativi devono essere sviluppati nel rispetto della nostra tradizione, delle caratteristiche orografiche e strutturali della nostra olivicoltura, valorizzando il ruolo delle organizzazioni di prodotto e delle reti di impresa per il superamento della parcellizzazione”.

Nel corso degli interventi sono state esaminate le prospettive dell’olivicoltura intensiva e superintensiva e analizzati i punti di forza e di debolezza. Tra quelli critici, il preferibile utilizzo di varietà non autoctone, che sembrerebbero più idonee a questo tipo di organizzazione dell’oliveto, ma che, stando ai dati esposti, nulla toglierebbe alla qualità del prodotto finale, le cui caratteristiche di eccellenza sono date dalla struttura pedo-climatica e dal know how dei nostri produttori.

Il superintensivo, infine, non danneggia le caratteristiche organolettiche e nutrizionali dell’olio extravergine d’oliva, come ha dimostrato anche la degustazione finale comparata tra oli ottenuti con metodi di produzione diversi.

Caso diverso per le Dop e le Igp dove occorre privilegiare le varietà autoctone: anche in questo caso alcune sperimentazioni condotte in particolare zone hanno, comunque, dimostrato che ci sono alcune varietà autoctone adatte alla coltura superintensiva. In questo caso un elemento fondamentale è costituito dalla meccanizzazione, che richiederebbe macchinari modificati in maniera da poter lavorare piante non esattamente ideali per il superintensivo.

Non tutte le aree, inoltre, potrebbero essere adatte a tale tipo di coltura a causa di carenze strutturali e della parcellizzazione delle superfici. A tal proposito è stata ribadita l’importanza del ruolo delle organizzazioni di produttori e delle reti di impresa che potrebbero aggregare aziende, anche piccole, ma interessate. Ed occorre certamente pensare anche a strutture di trasformazione, con specifico riferimento ai frantoi, in grado di accogliere le quantità che ogni giorno occorrerebbe frangere per una adeguata gestione dell’oliveto superintensivo.

Il presidente della Federazione nazionale olivicola Rossi si è dunque espresso favorevolmente sull’ampliamento dei fondi destinati al Piano olivicolo nazionale, ma ha rinnovato l’invito a non disperdere le risorse, già scarse, destinandole per la maggior parte alle misure per incrementare la produttività.

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