Intervento del Presidente della Repubblica in occasione dell’Assemblea generale di Confagricoltura

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Rivolgo un saluto di grande cordialità ai Vicepresidenti del Senato e della Camera dei
deputati, ai vicepresidenti del Consiglio, ai Ministri presenti, a tutti i presenti.
Un ringraziamento al Presidente Giansanti per l’invito a essere presente a questo
appuntamento così importante, tra l’altro improntato sulla sottolineatura che gli
elementi fondamentali del mondo agricolo sono fatti propri e sottolineati dalla nostra
Costituzione.
La questione agraria ha segnato la storia d’Italia e quella dell’intera Europa. E ne ha
caratterizzato lo sviluppo.
La relazione tra territori, risorse alimentari e popolazione è ciò che ha, spesso,
determinato modalità di vita, invasioni e conflitti.
Le carestie hanno accompagnato le crisi demografiche e le migrazioni.
Il tema della scarsità di cibo costituiva una permanente preoccupazione.
Ancora durante la Seconda guerra mondiale la vita, in Italia, era funestata anche da
questo fenomeno.
Le tessere annonarie per la distribuzione dei beni alla popolazione inquadrano quel
periodo.
La guerra aveva sconvolto ogni regolare produzione agricola e distrutto ogni normale
approvvigionamento.
Invocare sicurezza alimentare significava, dopo la guerra, affrontare l’assillo di nutrire
in maniera sufficiente la popolazione. Significava raccogliere la sfida di rimettere in
moto processi produttivi vulnerati dal conflitto: porsi anzitutto, insomma, un problema
di quantità.
La realtà di quelle privazioni ci viene restituita dai cine-giornali del tempo che, in
bianco e nero, ci mostrano le immagini di navi Liberty degli Sati Uniti che sbarcano in
Italia aiuti alimentari nell’ambito del Programma UNRRA dell’Onu.
A descrivere la situazione basti ricordare che in quel gennaio del 1947 – a oltre un
anno e mezzo dalla fine della guerra – il Capo dello Stato provvisorio, Enrico De Nicola
– accompagnando a Ciampino il Presidente del Consiglio, De Gasperi, in partenza per
Washington – alla scaletta dell’aereo gli raccomandava di chiedere agli americani di
aumentare la razione di pane “perché – testualmente – con duecento grammi
giornalieri, i giovani non ce la fanno più”.
Alla luce di oggi ci appaiono affermazioni sbalorditive.
La sfida era dar da mangiare ai nostri concittadini.
La fame, l’insufficienza alimentare, oggi appaiono attribuibili ad altri luoghi.
Soltanto con difficoltà troviamo traccia, nella memoria, di come appartenessero alla
gran parte degli italiani.
Eppure sono, in realtà, dell’altro ieri.

Appartengono agli anni fondativi della Repubblica, che aveva ereditato fame e
distruzioni.
Il 3 aprile 1946 – l’anno precedente a quella missione di De Gasperi – il delegato
italiano alla Conferenza internazionale di Londra sugli alimenti aveva avvertito che
l’Italia “avrà grano per sole altre tre settimane”. Il giorno dopo Pio XII – rivolgendo a
tutto il mondo un radiomessaggio per chiedere aiuti all’Italia – chiudeva l’appello con
le parole di impronta biblica “i pargoli domandavano pane e non era chi loro lo desse”.
Si comprende, quindi, il peso che l’agricoltura rivestiva per il futuro dell’Italia.
La rilevanza del suo ruolo – e la sua importanza per la ricostruzione dell’Italia e il
rafforzamento della risorta democrazia – la riscontriamo da una semplice
constatazione: la Costituzione della Repubblica Italiana è l’unica del suo tempo a
dedicare un articolo espressamente al settore primario e alle condizioni necessarie per
promuoverne lo sviluppo. Neppure le Costituzioni precedenti riservavano analoga
attenzione.
Scelta politica di grande portata, dunque, quella di introdurre il tema agricolo nella
nostra Costituzione – consacrandone il valore essenziale nell’Italia del dopoguerra e
per quella del futuro – sul duplice versante della promozione della produzione e della
questione sociale.
Il testo dell’art. 44 – che ben ricordiamo – è eloquente: “Al fine di conseguire il
razionale sfruttamento del suolo e di stabilire equi rapporti sociali, la legge impone
obblighi e vincoli alla proprietà terriera privata, fissa limiti alla sua estensione secondo
le regioni e le zone agrarie, promuove e impone la bonifica delle terre, la
trasformazione del latifondo e la ricostituzione delle unità produttive; aiuta la piccola e
media proprietà”.
In sostanza – lo ricordava un noto giurista e anche uomo politico, che ha dedicato i
suoi studi al diritto agrario, Giovanni Galloni – l’obiettivo primario della previsione
costituzionale era quello di accrescere la quantità della produzione agricola per
soddisfare i bisogni della popolazione, uscita stremata dalla guerra.
Indicando l’obbligo di coltivare la terra.
Anche per questo l’art. 47 dispone che “la Repubblica favorisce l’accesso alla proprietà
diretto coltivatrice”.
In nome di un più alto interesse generale, che travalica le normali relazioni
economiche bilaterali.
In Costituzione viene definito l’interesse pubblico allo sviluppo razionale delle
coltivazioni agricole, ritenuto degno di tutela.
Vi era una sottolineata consapevolezza dei Costituenti della rilevanza della materia in
discussione, al di là della naturale dialettica delle opinioni.
La stessa problematica la ritroviamo, in seguito, affrontata nell’art.39 del Trattato
istitutivo della Comunità Europea.
Il Trattato di Roma del 1957, in sintonia con la Costituzione italiana, ne ricalca i temi,
a dimostrazione dell’influenza della nostra Repubblica, Paese fondatore, nell’ambito
del processo di integrazione europea.

Soffermiamoci per un momento su questo, visto che successivamente la politica
agricola comune sarebbe stata a lungo – e continua ad essere – uno dei pilastri
dell’Unione Europea e garanzia per la nostra produzione agricola.
Questi gli obiettivi indicati: incrementare la produttività agricola, assicurando lo
sviluppo razionale della produzione; assicurare un tenore di vita equo alla popolazione
agricola; garantire la sicurezza degli approvvigionamenti; infine – ed è un elemento di
novità – assicurare prezzi ragionevoli ai consumatori.
Come si vede, accanto alle esigenze di produttività e di produzione, ci si proponeva di
intervenire sulle condizioni dei cittadini occupati in agricoltura, residenti nelle zone
rurali.
Di fronte al mondo in cui ci troviamo, è bene ricordare come nel nostro Paese le
condizioni generali di partenza fossero così arretrate da farne una grave questione
sociale, che affliggeva la popolazione e divideva anche le forze politiche circa le misure
da adottare.
Una situazione talmente lacerante, quella allora esistente, da spingere un economista
liberale come Luigi Einaudi, da lì a poco primo Presidente della Repubblica eletto dal
Parlamento, a presentare una sua proposta di formulazione dell’art.44 che prevedeva
che la legge potesse imporre alla proprietà terriera, privata e pubblica, obblighi e
vincoli, nonché di trasformare il latifondo per incrementare i piccoli e medi proprietari.
L’immane dimensione del passo in avanti, compiuto in questi settantacinque anni, la
ricaviamo,- Presidente Giansanti, dal video che abbiamo appena ammirato e che ci
introduce in un altro mondo.
Un mondo che le riforme e le politiche della Repubblica e quelle della Unione Europea
hanno sollecitato e che le imprese agricole hanno plasmato e realizzato.
Dovete, dobbiamo, esserne orgogliosi!
Per il livello di qualità e di produzione di ricchezza raggiunti, per la profonda
rivoluzione sociale che, anche nelle campagne, ha reso effettivi i principi di
eguaglianza sanciti nei primi articoli della nostra Costituzione.
Con la Carta – grande progetto di trasformazione – e con la scelta europea, abbiamo
contribuito a cambiare il destino di un ambito fondamentale della società.
L’agricoltura, da problema, da elemento di arretratezza, è divenuta sinonimo di
opportunità e di benessere.
Più – e meglio – di altri comparti economici, ha saputo disseminare modernità,
uscendo da un’attività di mera sussistenza, di autoconsumo autarchico, per creare
valore, divenendo vettore di internazionalizzazione dell’economia.
Sono grato, Presidente Giansanti, a Confagricoltura per questa opportunità di
riflessione, che – ricordando doverosamente il passato – esorta a guardare ancora più
avanti.
Agricoltura, questa sconosciuta potremmo dire: 220 miliardi di valore di beni prodotti
– ci viene rammentato poc’anzi – e quasi 1 milione e 400.000 occupati nel sistema
agro-alimentare.
L’Unione Europea – veniva ricordato – è il primo esportatore globale di prodotti agro-
alimentari. In essa, Italia e Francia – come poc’anzi ricordava il Presidente Giansanti –
si contendono il primo posto. Fa parte del soft power europeo.

Con essi, si esporta uno standard di qualità e di salute, si afferma un modello di
consumo e di vita che si impone ai mercati – come nel caso della dieta mediterranea –
con la forza di persuasione del suo valore, il contrario di tentazioni di chiusura.
Si pensi che l’Italia è nel gruppo di testa della classifica dell’Unione Europea che ha
valorizzato le nostre produzioni nelle denominazioni di “indicazione geografica
protetta”, di “denominazione origine protetta”, di “specialità tradizionale garantita”.
Un’Italia, dunque, non sulla difensiva ma che può giocare d’iniziativa a tutto campo; in
una stagione che vede, insieme, alimentazione, tutela dell’eco-sistema, governo del
territorio, valorizzazione dei beni ambientali.
È necessario rendere tutti consapevoli di quanto centrale sia oggi l’agricoltura.
Un volano per la crescita, per la creazione di filiere produttive; presupposto per
l’export di eccellenza del Made in Italy; veicolo di innovazione e promozione della
ricerca e della salute. Protagonista nella gestione dei territori e per la tutela
dell’ambiente, proteggendo le culture, e le colture, che hanno modellato, nei secoli, il
paesaggio e il modo di vivere italiano.
È stato Paolo Grossi, un insigne studioso del diritto medievale e moderno – qualche
anno addietro Presidente della Corte costituzionale – a segnalarlo: “il territorio può
avere impresso in sé indelebilmente la vicenda di un popolo, di un costume, di una
storia”, arrivando ad affermare che “il suo prodotto tipico può costituire ben altro che
un banale dato agro-alimentare”.
Aggiungo: un dato con preziosi elementi di civiltà.
Se l’Italia è il Paese delle cento città, nasce dalle mille campagne.
È il Paese delle mille produzioni, a sottolineare quanto l’Italia sia debitrice all’opera di
coltivazione e bonifica, iniziata, proprio nel Medioevo – dei tempi che Grossi studiava –
, con l’opera promossa dagli ordini religiosi, e va ricordata l’esperienza dei Cistercensi
e delle loro Grange.
Attività che non si è mai arrestata, tanto che la nascita della Repubblica e il varo della
sua Costituzione hanno prodotto – sulla via dell’attuazione delle norme della
Costituzione stessa – una serie imponente di riforme agrarie che hanno portato alla
trasformazione sociale dell’Italia, protagonista, fra gli altri, un esponente politico,
esperto del mondo agricolo – Antonio Segni – che sarebbe assurto, poi, alla Presidenza
della Repubblica.
Interpretando i tempi, si realizzava quel che il grande costituzionalista Costantino
Mortati aveva definito, parlando dell’art.44, come “la riunione delle proprietà della
terra con il lavoro, che la feconda”.
Non è inutile rammentare che la geografia italiana è segnata dai primi insediamenti
abitativi, nati là dove si è iniziato a coltivare la terra.
Produrre significa abitare un luogo, ed emerge qui l’influenza plurifunzionale che
l’agricoltura esercita, con un rafforzamento dell’identità dei territori.
Un rafforzamento talmente incisivo da avere modificato anche i rapporti sedimentatisi
nel ‘900 tra città e campagna.
Un rapporto non più di dipendenza, tanto meno di subalternità.

L’esercizio di una responsabilità sociale e ambientale riguarda in larga misura il
sistema agricolo.
Oltre 10 milioni di italiani vivono in aree rurali. La superficie agricola utilizzata vale il
40% di quella totale del nostro Paese.
La Repubblica non può che incoraggiare l’esercizio di questa responsabilità di “cura
della terra”, cogliendo l’occasione di farne una nuova fase di progresso.
Il tema dell’agricoltura assunse natura esemplare alla Costituente, caratterizzandosi
come terreno sul quale si misurarono le diverse concezioni delle forze politiche proprio
in materia di proprietà e libertà di impresa.
È l’intera Costituzione a essere interpellata.
Dall’art. 41 “L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con
l’utilità sociale o in modo da recare danno alla salute, all’ambiente, alla sicurezza, alla
libertà, alla dignità umana”. Ai già ricordati articoli di cui abbiamo parlato, 44 e 47,
allo stesso articolo 9, nella nuova formulazione poc’anzi rammentata per cui la
Repubblica, oltre a tutelare il paesaggio, “Tutela l’ambiente, la biodiversità e gli
ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni”.
Nulla come l’impresa agricola richiama e attua il secondo comma dell’art. 41 sulla
finalità sociale e ambientale dell’attività d’impresa.
La complessità delle materie in gioco suggerisce, per altro, una lettura attenta delle
previsioni costituzionali, a partire dalla formula “razionale sfruttamento del suolo”,
anche allora non interpretabile in un senso meramente produttivistico, ma che, oggi,
nella prospettiva della sostenibilità ambientale, viene letta come “ottimale
utilizzazione del territorio”.
Come scriveva Giovanni Galloni, si potrebbe concludere che “non si tratta più solo di
estrarre beni dalla terra ma di considerare l’agricoltura come “generativa di beni
comuni”.
Quando l’art. 44 parla di “equi rapporti sociali” non si riferisce più ai rapporti
intercorrenti all’interno del mondo della produzione agricola ma “equi” sono i rapporti
da instaurare a livello della prossimità sociale. È dunque la comunità nazionale ad
essere interessata, in tutte le sue sensibilità.
E non soltanto a livello nazionale o comunitario.
Presidente Giansanti, lei  poc’anzi ha accennato alle tante crisi che si succedono, con
tanta velocità.
Permettetemi di cogliere questa occasione – per la quale ancora ringrazio – per
esprimere la riconoscenza della Repubblica al mondo dell’agricoltura che, durante la
crisi della pandemia, non ha mai cessato, neppure per un istante, di nutrire il Paese.
Gli agricoltori, al pari di altre categorie benemerite, hanno consentito a un Paese ferito
di rialzarsi e riprendere il suo percorso.
Le recenti alluvioni hanno mostrato egualmente lo spirito di solidarietà connaturato a
chi si occupa di agricoltura nei territori: il loro sacrificio, i danni che hanno subito,
meritano di essere prontamente ristorati affinché con politiche appropriate si creino le
condizioni per la ripresa.

Ma, in contemporanea, si è presentata la crisi derivante dall’invasione russa in
Ucraina, con un uso spregiudicato da parte di Mosca della risorsa alimentare, utilizzata
come arma strategica.
Il cibo, anziché diritto universale viene considerato, in quel modo,  arma di guerra,
affamando popolazioni, destabilizzando nazioni, accentuando povertà e spostamenti di
popoli.
La fame è uno spettro che si aggira nuovamente nei territori in guerra, e non solo; e
si presenta, inoltre, nelle aree soggette a desertificazione.
Sono temi che, mentre richiedono interventi urgenti, presentano questioni di struttura
sia negli ambiti bilaterali, sia in quelli multilaterali.
Il 2024 – lo ricordava il Presidente Giansanti – sarà caratterizzato da un grande
esercizio di democrazia: il popolo europeo sarà chiamato a eleggere il Parlamento
d’Europa, massimo organismo rappresentativo della volontà dei cittadini del
continente.
Occorreranno lucidità di giudizio e consapevole lungimiranza per essere all’altezza
delle sfide che ci riguardano.
Le strutture dell’Unione hanno bisogno di essere rafforzate in numerosi ambiti, dalla
difesa all’agricoltura.
Così come occorre non ignorare gli altri fori internazionali, dalle Nazioni Unite al G7 –
che l’Italia presiederà nell’anno che sta per aprirsi -dove si pongono questioni di
grande rilievo.
Le drammatiche vicende di questo periodo confermano come l’agro-alimentare sia la
base di ogni concreta prova sul terreno della sostenibilità ambientale e sia, inoltre, la
prima frontiera su cui si misura la stabilità internazionale e le politiche di
cooperazione.
Sicurezza alimentare era espressione che si era spostata da una concezione
quantitativa dei rifornimenti agricoli, a una qualitativa, relativa alla salubrità degli
alimenti.
Oggi rischiamo di tornare drammaticamente indietro.
Ecco perché l’agro-alimentare è anche un veicolo di pace.
Nessuno più di voi ne è consapevole.
Libertà, coesione sociale, sostenibilità, Europa, sono valori ben presenti al mondo delle
imprese agricole che sanno di essere protagoniste di una stagione di rinnovata vitalità.
Con la resilienza caratteristica degli agricoltori.
La Repubblica è certa che continuerete, con passione, a fare la vostra parte.
Auguri!

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